Danno morale – Omesso riconoscimento di tale posta di danno in assenza di idonea prova – Riforma della sentenza di primo grado – Rideterminazione del quantum

Si condivide on line una sentenza pubblicata in data 14.01.2022 dal Tribunale di Napoli Nord, a conclusione di un giudizio di appello avente ad oggetto la riforma della sentenza di primo grado, resa dal Giudice di Pace di Marano di Napoli, in tema di responsabilità civile da circolazione stradale, in cui lo Studio ha avuto l’onore di rappresentare la Compagnia di Assicurazione, che suggerisce un’attenta analisi dei motivi sottesi alla riforma della impugnata decisione.

Dalla lettura delle motivazioni particolarmente argomentate, rese dal Tribunale di Napoli Nord (Aversa – CE), si rileva come la statuizione resa dal giudicante in prime cure sia stata riformata in ordine alla richiesta di risarcimento per il danno morale, in quanto parte attrice non ha fornito, in prime cure, alcuna prova in merito al pregiudizio ulteriore patito, a fronte di una cospicua liquidazione in tal senso di cui alla gravata sentenza.

Al parziale accoglimento dell’appello è seguita la riduzione, nella misura del 20%, della somma liquidata in primo grado, a cui è seguito il diritto della Compagnia ad ottenere la ripetizione delle somme già liquidate e rideterminate in danno dell’appellata per l’importo di € 2.916,792.

Fermo il rigetto dei primi due motivi di appello, sui quali non ci si soffermerà, si riportano, qui di seguito, i passaggi salienti della sentenza, il ragionamento del Giudice, unitamente ai precedenti giurisprudenziali richiamati:

“appare fondato il terzo motivo di appello relativo al riconoscimento a favore della parte attrice anche del c.d. danno morale. Infatti, rispetto a quanto già liquidato dal Giudice per il risarcimento del c.d. danno biologico, null’altro andava liquidato, sub specie di danno non patrimoniale. Ed infatti, premesso che parte attrice non ha allegato né, soprattutto, fornito la prova del c.d. danno morale eventualmente patito in conseguenza del sinistro (nella nuova concezione che di esso hanno fornito le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con la nota sentenza 18.11.2008, n. 26972. In particolare, osserva il Tribunale come in tale circostanza sia stato chiarito che “nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula “danno morale” non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento… Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”), ugualmente non si ravvisa la sussistenza della lesione di diritti costituzionalmente protetti ultronei rispetto a quello alla salute, già liquidato …, ed aderendo questo Giudice all’orientamento giurisprudenziale che nega decisamente l’esistenza di una autonoma voce di danno qualificabile come ‹‹esistenziale›› e sganciata da una copertura di carattere costituzionale, in considerazione della circostanza per cui essa finisce per ‹‹portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione dell’apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma [l’art. 2059 cod. civ.] ai fini specifici della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c. che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona, ritenuti inviolabili dalla norma costituzionale›› (cfr. Cass., 15.7.2005, n. 15022, est. Segreto e Cass., 9.11.2006, n. 23918, Pres. Preden, est. Segreto)”.

Tale principio è stato ulteriormente chiarito dalla nota sentenza 04.07.2007, n. 15131, la quale, chiamata a pronunziarsi sul ristoro del c.d. ‹‹danno esistenziale da fumo attivo››, ha precisato che ‹‹anche in tema di risarcimento del danno da responsabilità aquiliana (sia esso patrimoniale che non patrimoniale) occorre che sia provata l’esistenza di [ogni] danno di cui si chiede il risarcimento, non potendo ritenersi che il danno sia in re ipsa, cioè coincida con l’evento, poiché il danno risarcibile è pur sempre un danno conseguenza anche nella responsabilità aquiliana, giusti i principi di cui agli artt. 2056 e 1223 cod. civ. e non coincide con l’evento, che è invece un elemento del fatto, produttivo del danno. Invero il danno risarcibile, nella struttura della responsabilità aquiliana, non si pone in termini di automatismo, con il fatto dannoso.

La linea logica che sostenesse il contrario …, si fonderebbe essenzialmente sul presupposto che, una volta verificatosi il fatto dannoso, la dimostrazione del danno ingiusto risarcibile sarebbe “in re ipsa“, per cui non ricadrebbe sull’attore originario l’onere della dimostrazione delle singole situazioni di pregiudizio subite e risarcibili. Questa impostazione non è accettabile. Ed invero, sostenere ciò significa affermare la sussistenza di una presunzione in base alla quale, una volta verificatosi il fatto, appartiene alla regolarità causale la realizzazione del danno ingiusto oggetto della domanda risarcitoria, per cui la mancata conseguenza di tale pregiudizio debba ritenersi come eccezionale. Così operando [tuttavia] si pone a carico del convenuto danneggiante l’onere della prova contraria all’esistenza del danno in questione, senza che esso sia stato provato dall’attore e definitivamente ribadito dalla recente pronunzia adottata dalla Suprema Corte in data 30.10.2007, n. 22884, la quale, in tema di danno c.d. da perdita del rapporto parentale, ha così espressamente statuito: «nel bipolarismo risarcitorio (danni patrimoniali e non patrimoniali) previsto dalla legge, al di là della questione puramente nominalistica, non è possibile creare nuove categorie di danni, ma solo adottare [eventualmente] per chiarezza del percorso liquidatorio voci o profili di danno, con contenuto descrittivo (e a questo fine può essere utilizzata anche la locuzione danno esistenziale, accanto a quella di danno morale e danno biologico), tenendo conto che da una parte deve essere liquidato tutto il danno, non lasciando privi di risarcimento profili di d etto danno, ma che dall’altra deve essere evitata la duplicazione dello stesso» (Pres. Vittoria, est. Segreto) -cfr. da ultimo, in termini, Cass., S.U., 18.11.2008, n. 26972.

In conclusione, la sentenza è stata parzialmente riformata in quanto, non operando i detti automatismi, la parte attrice in prime cure non ha fornito un valido assetto probatorio a tale singola situazione di pregiudizio asseritamente subita e, pertanto, non risarcibile.

Alla stregua di quanto premesso, in sintesi, la somma liquidata dal Giudice di primo grado è stata ridotta del 20% di quella riconosciuta in primo grado per € 14.583,96 (che nella sentenza impugnata viene indicata pari all’importo del c.d. danno biologico aumentato del 20% in relazione al danno morale) e dunque, di € 2.916,792 con la conseguenza che, ferme le altre statuizioni della sentenza di primo grado, l’importo complessivo liquidato all’attrice in primo grado è stato rideterminato in € 14.948,77.

Attesa la rideterminazione del quantum debeatur e, in considerazione dei pagamenti effettuati in corso di secondo grado a causa del rigetto dell’istanza di inibitoria ex art. 351 c.p.c., è stato accertato il titolo della Compagnia ad ottenere la ripetizione delle somme già liquidate e rideterminate per l’importo di € 2.916,792.

 

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